Negli ultimi anni, si è assistito a un ritorno verso la spiritualità, che molti cercano come un’oasi di pace in un mondo sempre più frenetico e complesso.
Questo fenomeno riflette una ricerca di senso che in molti tentano di ottenere attraverso pratiche e credenze spirituali, che spaziano dalle religioni tradizionali a nuove forme di spiritualità come la meditazione, la mindfulness, e persino una sorta di "spiritualità fai-da-te".
Tuttavia, in alcuni casi, questo rifugio nella spiritualità può nascondere un lato meno evidente: può diventare uno strumento di evasione, utilizzato per evitare di affrontare la realtà, i propri limiti e le proprie incompetenze.
La spiritualità, per sua natura, è un campo molto vasto e personale, che dovrebbe aiutare l’individuo a comprendere meglio se stesso e il proprio rapporto con il mondo.
Tuttavia, un suo uso distorto può condurre a un comportamento di fuga dalla realtà, dove l’individuo si costruisce una "bolla spirituale" all'interno della quale si sente protetto e sicuro.
In questa bolla, ci si convince che i problemi quotidiani e le sfide pratiche non siano davvero rilevanti, oppure si arriva a credere che siano "sotto il controllo dell'universo" o di una qualche energia superiore.
In questo senso, anziché aiutare le persone ad affrontare il mondo con maggiore consapevolezza e responsabilità, la spiritualità può diventare una maschera per non affrontare i propri limiti.
In molti casi, il ricorso a una giustificazione "spirituale" delle proprie difficoltà e incompetenze può diventare una modalità comoda per sottrarsi alla responsabilità e all’autocritica.
Invece di riconoscere le proprie mancanze o impegnarsi per migliorare, alcune persone si rifugiano in concetti vaghi, come l’idea che "tutto accade per una ragione" o che "le energie non erano allineate".
Attraverso l'uso di queste affermazioni, si evita di ammettere di non aver fatto abbastanza o di non aver avuto le competenze necessarie in un determinato contesto.
Ad esempio, in ambito professionale, può capitare che una persona, di fronte a un insuccesso, attribuisca il proprio fallimento a una "mancanza di affinità energetica" con i colleghi o alla "negatività dell’ambiente lavorativo", anziché riflettere sul fatto che forse avrebbe potuto acquisire nuove competenze o agire in maniera differente.
Così facendo, il rifugio spirituale si trasforma in un modo per evitare il confronto con la realtà e con il proprio bisogno di miglioramento personale.
Le pratiche spirituali, se usate in modo eccessivo o distorto, possono diventare la base di una sorta di realtà alternativa, nella quale la persona si sente immune dalle sfide del mondo reale.
Questa costruzione di un universo parallelo in cui tutto è “guidato da forze superiori” permette all’individuo di percepirsi come parte di qualcosa di “più grande” e, quindi, di sentirsi giustificato nel non affrontare i propri limiti.
Ad esempio, alcune persone si immergono completamente in pratiche come la lettura dei tarocchi o l’astrologia, consultandole quotidianamente come guide di vita che sostituiscono il ragionamento critico e l’autonomia decisionale.
Questo atteggiamento può, inoltre, generare una dipendenza psicologica verso le pratiche spirituali stesse, creando una necessità costante di conferme esterne anziché di riflessione interiore.
Si crea così un circolo vizioso: ogni volta che si presenta una difficoltà, l'individuo si rifugia in queste pratiche per ottenere rassicurazioni, senza mai affrontare davvero il problema.
Non c'è nulla di male nello studiare e praticare discipline spirituali come la cartomanzia e l'astrologia; io stessa le seguo con interesse e le utilizzo da anni. Tuttavia, per me restano strumenti di supporto nei momenti di riflessione o di bisogno, senza mai permettere che influenzino o determinino le mie scelte di vita.
Il vero lavoro spirituale, infatti, dovrebbe servire a conoscere meglio se stessi, restando però ancorati alla realtà, con moderazione e un sano senso pratico. È importante evitare che la spiritualità diventi una forma di escapismo, un rifugio che ci allontana dal confrontarci con il mondo reale e le nostre responsabilità.
Il confine tra la spiritualità come percorso di trasformazione e come fuga dalla realtà è molto sottile. La vera spiritualità dovrebbe, infatti, guidare verso una maggiore consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo.
Molte filosofie spirituali e religioni insegnano che la crescita personale è un percorso di apprendimento, disciplina e lavoro su di sé, ma questa dimensione viene spesso ignorata da chi vede nella spiritualità una via di fuga piuttosto che uno strumento di miglioramento.
Una spiritualità autentica richiede di affrontare le proprie debolezze, sviluppare autocritica e intraprendere un percorso di cambiamento. Invece, l'uso improprio della spiritualità per evitare le sfide e giustificare le proprie mancanze può portare a uno stato di stagnazione.
In questi casi, si potrebbe parlare di una "spiritualità illusoria", che allontana dall’autenticità e dal vero lavoro interiore.
Un altro aspetto che emerge da questa situazione è il rischio dell'autoinganno. Quando una persona usa la spiritualità per nascondere le proprie inadeguatezze, sta in realtà ingannando se stessa.
Questo autoinganno, anche se temporaneamente confortante, può portare a un accumulo di problemi irrisolti, che alla lunga emergono con maggiore intensità.
L’autoinganno spirituale può, inoltre, causare un progressivo allontanamento dai rapporti sociali e professionali, poiché la persona si isola in una visione del mondo che non è più condivisa da chi la circonda.
Le relazioni possono risentire di questa scelta, in quanto amici e familiari potrebbero percepire l'atteggiamento evasivo come una forma di disinteresse o di rifiuto a confrontarsi con la realtà.
Anche la carriera professionale potrebbe soffrirne, dal momento che il rifiuto di accettare critiche o di lavorare sulle proprie competenze può limitare le possibilità di crescita.
Anch'io mi sono trovata a dovermi allontanare da certi circoli spirituali, da persone e situazioni per questo motivo.
Avevo notato come, in alcuni ambienti, la spiritualità diventasse più un rifugio dalle responsabilità che un autentico percorso di crescita. Non è stato facile, ma ho capito che rimanere legata a quelle dinamiche mi avrebbe impedito di mantenere un equilibrio tra la mia ricerca interiore e la realtà concreta.
Allontanarsi da certe situazioni ha sempre delle conseguenze, e purtroppo, le relazioni più importanti nella nostra vita spesso ne risentono.
Quando si sceglie di prendere le distanze da circoli o persone che hanno abbracciato un approccio alla spiritualità più evasivo che costruttivo, è inevitabile che alcuni legami si incrinino.
A volte ci si trova a dover spiegare scelte che non tutti comprendono, e questo può creare incomprensioni o addirittura allontanamenti dolorosi.
Tuttavia, mantenere la propria integrità e rimanere fedeli a un percorso spirituale equilibrato è essenziale, anche se richiede sacrifici e mette alla prova alcune delle nostre relazioni più care.
Tornare indietro non è mai possibile, ma possiamo sempre migliorare, perché anche esperienze come queste contribuiscono alla nostra crescita.
Allontanarsi da certi ambienti o riconsiderare alcune relazioni può essere doloroso, ma ogni passo ci insegna qualcosa su di noi e su ciò di cui abbiamo veramente bisogno per evolvere.
È proprio affrontando queste sfide che acquisiamo maggiore consapevolezza e rafforziamo la nostra capacità di discernimento. Anche se il percorso non è sempre lineare, ogni esperienza aggiunge valore e ci aiuta a costruire una versione più autentica e matura di noi stessi.
Riconoscere un uso sano della spiritualità significa essere capaci di distinguere tra la ricerca di conforto e la fuga dalle responsabilità. Una spiritualità che promuove la crescita è quella che ci invita a guardare dentro noi stessi, a riconoscere i nostri limiti e ad accettare la realtà per ciò che è.
Una persona che segue una spiritualità sana è capace di trarre forza dalle proprie convinzioni, senza per questo evitare le sfide o negare la realtà dei propri problemi.
In questo senso, è utile praticare l'autocritica e chiedersi onestamente se il proprio percorso spirituale sta contribuendo alla crescita personale o se sta diventando solo una zona di comfort per evitare di confrontarsi con la realtà.
Il dialogo aperto con persone fidate e l’apertura a nuove esperienze possono aiutare a rimanere in equilibrio, mantenendo la spiritualità come un mezzo di arricchimento e non come una forma di fuga.
La maschera della spiritualità è una facciata dietro la quale, a volte, si nascondono fragilità e paure non risolte. Per molte persone, la spiritualità rappresenta un cammino di crescita e scoperta interiore, ma, in alcuni casi, diventa un rifugio dalle proprie responsabilità e incertezze.
Indossare questa maschera può farci sentire protetti, distanti dai giudizi esterni, e rassicurati da un senso di “scopo superiore” che giustifica le nostre scelte.
Ma c’è un lato insidioso in questa maschera: può farci perdere il contatto con la realtà, allontanandoci dal vero significato della spiritualità, che è una guida per conoscere se stessi e il mondo con maggiore apertura e autenticità.
Quando la spiritualità viene usata come schermo per evitare il confronto con le proprie debolezze, diventa un ostacolo alla crescita personale piuttosto che un percorso di consapevolezza.
Rimuovere questa maschera richiede coraggio, poiché significa accettare le proprie vulnerabilità e smettere di attribuire a forze esterne i propri insuccessi o insicurezze.
È solo lasciando cadere questa facciata che possiamo scoprire la vera essenza del percorso spirituale, fatto di equilibrio tra ricerca interiore e capacità di affrontare la realtà con responsabilità e maturità.
Un abbraccio,
Gioia